giovedì 7 marzo 2013

Appello per il Pd

Siamo un gruppo di dirigenti, di elettori, di fondatori del Partito Democratico.

All'indomani di questa tornata elettorale è chiaro a tutti il fallimento di un sistema; quindi non è più tempo dei se, dei ma, e delle mezze parole, né tanto meno del trasformismo tipico di una classe dirigente che sa solo dare colpe ad altri: alla società italiana che non coglie il pericolo del populismo grillino, agli elettori che si fanno abbagliare dalle promesse da bigiotteria berlusconiana e chi più ne ha più ne metta. Ci vuole un’azione decisa e forte che proponga un ricambio generazionale di persone e di idee.

Se abbiamo perso è proprio per il distacco della nostra classe dirigente, del nostro Partito, dalla realtà che vivono gli italiani quotidianamente. Per quel nostro parlare per metafore senza capire che sarebbero servite parole chiare, per quei sacrifici chiesti agli italiani appoggiando il governo Monti, cui non abbiamo fatto seguire eguali “privazioni” da parte della classe politica e dei ceti sociali più abbienti. Per l’aver lasciato ad altri il monopolio delle piazze e del contatto diretto con i cittadini rimanendo rinchiusi nel recinto che solo durante il periodo delle primarie avevamo, timidamente, tentato di aprire.

Dobbiamo ripartire dalla consapevolezza che abbiamo perso e non dobbiamo cercare scuse o attenuanti, ma analizzare gli errori commessi per rimediare immediatamente.
Abbiamo perso perché liquidato Grillo e il fenomeno 5 Stelle senza interessarci davvero di chi fossero i suoi elettori e del perché avessero scelto di abbandonare i partiti per esprimere un voto di rottura.
Abbiamo perso perché non abbiamo saputo spiegare ai nostri elettori perché abbiamo appoggiato il Governo Monti in un momento delicatissimo per il nostro Paese né quanto quella scelta fosse necessaria ad allontanarci dal rischio default.
Abbiamo perso perché in un panorama di slogan populisti non abbiamo saputo controbattere concretamente con i nostri progetti e il nostro programma ma ci siamo limitati a rispondere giocando di rimessa rincorrendo gli altri sul loro campo.
Abbiamo perso perché, come sempre, non abbiamo saputo comunicare e in un mondo tecnologico e social queste lacune non sono più permesse.
Abbiamo perso perché non abbiamo capito che non esistono più le classi sociali, che il mondo è fluido e che per rispondere a questa società che muta in continuazione anche la politica deve aggiornarsi; non si può e non si deve più parlare solo a certi strati sociali dimenticandone o snobbandone altri.

Non siamo disposti a rimanere silenti davanti ad un eventuale accordo con il Pdl per un “Governissimo” che non potrebbe che limitarsi ad amministrare l’esistente senza promuovere le riforme di cui tutti sentiamo il bisogno.
Crediamo invece che sia nostro dovere, come primo partito d’Italia, proporre un Governo “a progetto” che accanto agli inevitabili tagli ai costi della politica si prefissi l’obiettivo di far approvare una legge anticorruzione, una legge sul conflitto di interessi e manovre mirate a creare posti di lavoro. Sarà responsabilità di chi non accetterà le nostre condizioni allora riproporsi ai cittadini con il peso di aver negato al Paese queste riforme. 


Siamo davanti a un bivio: Cambiare radicalmente o scomparire.

Crediamo ancora che l'organizzazzione partitica abbia una senso, non solo perchéè lo dice la costituzione, ma anche perchéè è il sistema con cui  si regola la democrazia e l'alternanza; crediamo però che una certa politica e un certo modo di essere partito vada completamente ribaltato.
Va ripristinato il valore del merito e dell'impegno, bisogna far ripartire la politica dal basso, laddove il movimento di opinione nasce e si evolve.
E’ necessario restituire ai nostri organi elettivi e dirigenziali locali quel potere che lo Statuto del nostro Partito attribuisce loro.
E’ necessario praticare una reale democrazia interna imparando a fare sintesi tra le diverse posizioni che arricchiscono il dibattito interno al nostro Partito.
E’ necessario saper riconoscere quando è il momento di farsi da parte.
E’ necessario concepire il prossimo Congresso come fondamentale momento rifondante e non come l’ennesimo scontro tra persone e correnti.

Riteniamo necessario un atto di responsabilità da parte di questa classe politica: un rinnovamento reale e non esclusivamente generazionale e l’apertura alla società del recinto in cui ci siamo chiusi e che sta diventando un fortino, se vogliamo evitare al nostro partito il rischio di estinzione.